Presentazione ansiosa

Mi chiamo Beatrice,ho diciotto anni e una passione sconfinata per i libri. Scontato? Forse sì. Nel mio amore però mi sento unica. Non vedo altro futuro se non con loro,e per questo motivo ho deciso di cimentarmi in un blog di recensioni e pensieri vari. :) Sono all'antica, scrivo ancora tutto a mano.. Questo schermo bianco mi mette un po' di ansia,lo ammetto. Spero di riuscire nel mio intento, e di trasmettere la mia passione a chi mi leggerà. Grazie per l'attenzione,gufetti! :)

lunedì 15 settembre 2014

GRANDI SPERANZE

Ho sempre pensato che i libri non servissero solo per passare il tempo ma anche per crescere e maturare, cosa che mi è capitata con l'ultimo che ho letto: Grandi Speranze di Charles Dickens. La storia si apre con Pip, ragazzino vispo ed intelligente, che il giorno di Natale del 1812 si trova sulla tomba dei suoi genitori, quando ad un tratto spunta dalla nebbia fitta un uomo, con i vestiti laceri e lo sguardo perso, che minaccia di fargli del male se il giorno dopo non gli avesse portato del cibo. E' così che iniziano le vicende incredibili del protagonista, che nonostante la folle paura aiuta colui che si è rivelato essere un fuggitivo. Pip vive con una sorella violenta e il marito Joe, che al contrario è di animo dolce e gentile, e seppur semplice nei modi, vuole bene al ragazzo, che nello stesso periodo conosce Miss Havisham: una stravagante e ricca signora, che vive in una casa dove non entra mai la luce del sole, gli orologi sono fermi tutti alla stessa ora e una ragazza bella ma altera ed con il cuore di ghiaccio lo accoglie. Il suo nome ' Estella, colei che rimarrà per sempre impressa nel cuore del nostro eroe. Nello stesso momento in cui Pip viene a contatto con questo mondo giudicato strano ai suoi occhi ma allo stesso tempo ricco di meraviglie, inizia a disprezzare la sua vita e a nutrire grandi speranze per il suo avvenire. Per un gioco del destino il ragazzo entra in possesso di una grande fortuna donatagli da un benefattore anonimo e si trasferisce a Londra per completare gli studi ed entrare a far parte della società da bene della city. Qui conosce Herbert, figlio del suo insegnante e successivamente migliore amico, fedele e leale. La vita ormai è bella: il lusso, il divertimento ed i soldi sembrano essere il suo unico interesse, fino a dimenticare quello che è stato il suo passato, il luogo da dove viene, le sue origini. Joe è ormai un lontano ricordo, tant'è che quando si rivedono vi è agitazione, affettazione, mancanza di spontaneità e soprattutto diffidenza. Ma non è tutto oro quel che brilla. Ben presto i debiti cominciano ad accumularsi e cosa più importante Pip scopre chi è il suo benefattore: una persona insospettabile, che tornando in scena mette in dubbio tutte le sue sicurezze e provoca (involontariamente) una battuta di arresto alle famose grandi speranze. Fatto sta che l'ormai diventato uomo deve maturare, ed in questo processo comincia a rendersi conto come non si possa costruire una vita sui soldi, poiché nel momento in cui questi vengono a mancare, non si ha alcuna base solida da cui ripartire. Il modo in cui ha trattato Joe gli provoca molti rimorsi, che lo portano a redimersi, e a cominciare a lavorare duramente per guadagnare non solo il pane quotidiano, ma anche serenità spirituale. In poche parole un libro che insegna a non disprezzare mai da dove si viene e che mi ha fatto riflettere molto, poiché anche a me è capitato: mio padre fa l'operaio e lavora per uno scarso stipendio mensile. Quando mi sono iscritta al Liceo Classico i miei compagni di classe avevano genitori con lavori alquanto prestigiosi e lavorativi, e mi chiedevo perché non venissi anch'io da una famiglia agiata. Solo con il tempo mi sono resa conto che la cosa che davvero conta è fare bene il proprio dovere, sia esso essere medico sia essere operaio, e che l'umiltà è una qualità rara e apprezzabile. 
Nel 2012 dal libro è stato tratto un film, con Mike Newell alla regia.
Ralph Fiennes nei panni del fuggitivo.
Pip ed Estella da piccoli.
Jeremy Irvine nei panni di Pip.
Holliday Grainger nei panni di Estella.


Helena Bonham Carter come Miss Havisham




lunedì 1 settembre 2014

IL PIACERE

Tra il 1888 e il 1889 nella graziosa Francavilla al Mare Gabriele D'Annunzio scrisse Il piacere, romanzo ambientato nella Roma aristocratica e lussuosa e che ben presto divenne un capolavoro, simbolo di un'epoca. Protagonista e allo stesso tempo narratore è Andrea Sperelli, un giovanotto nobile e ricco appena trasferitosi nella città immortale e da molti definito alter-ego di D'Annunzio stesso. Non so se questa era l'intenzione dell'autore, ma certo è che molti sono i punti in comune tra i due: un gran fascino seduttore, intelligenza unita ad una grande cultura e un savoir faire tutto italiano. La storia si svolge in un lasso di tempo di circa due anni e per la maggior parte del tempo in vari salotti aristocratici degli amici di Andrea che ben presto si innamora della "bella ed impossibile" vedova Elena Muti, la quale non ci mette molto per ricambiare i sentimenti dell'uomo e cedere ad una passione travolgente, per poi lasciarlo all'improvviso senza tante spiegazioni. Il nostro protagonista inizialmente è spaesato, non riesce a comprendere, ma tutto ciò non lo spinge all'isolamento bensì ad un maggior interesse per le donne, che si traduce nella loro seduzione e in un amore prettamente carnale. Nel volto delle varie amanti però vi è sempre impressa lei, l'amata per eccellenza, Elena, che ha lasciato un profondo segno nell'animo di Andrea, che inizia ad essere sempre più sfacciato, fino ad arrivare ad un duello per contendersi una donna. Qui però viene ferito, ed è costretto a passare la convalescenza nella villa di Schifanoja di sua cugina Francesca d'Ateleta. Pian piano comincia a riprendersi, grazie anche all'intervento nella sua vita di una nuova donna: Maria Ferres, moglie del ministro plenipotenziario del Guatemala. Tra i due nasce un amore dolce e platonico, a causa anche del carattere di lei, totalmente diverso dalla prima amante, ma che per alcuni gesti e caratteristiche la ricorda. Nel raccontare le passioni di questo Don Giovanni di fine Ottocento D'Annunzio ne esamina attentamente la psicologia, i sentimenti, le emozioni, facendo emergere a volte una nota critica nei confronti della perversione e del cinismo con cui vengono affrontate le relazioni, viste come un semplice mezzo per raggiungere i fini preposti. La prosa è ricca di moltissime similitudini, metafore ed anafore, cosa che delle volte rende difficoltosa e lenta la lettura. Purtroppo non ho amato molto questo romanzo: il modo in cui viene descritto l'universo femminile mi sembra superficiale ed stereotipato, inoltre ho trovato lo stile antiquato e complesso un po' noioso, D'altronde è pur sempre un capolavoro della letteratura, che forse ho semplicemente letto nel periodo della mia vita sbagliato o precocemente. Chissà! 

mercoledì 13 agosto 2014

MOLTO FORTE INCREDIBILMENTE VICINO

Jonathan Safran Foer è considerato ormai un autore di grande importanza nonostante non abbia alle spalle un grande numero di opere, ed un motivo c'è: ogni suo libro lascia nel lettore un qualcosa che rimarrà indelebile anche col passare degli anni. Ovviamente cambia da persona a persona, ma penso che il concetto di fondo sia uguale per tutti: ognuno ha perso nella vita almeno una persona cara, sia che essa sia morta sia che se ne sia andata, ed il  dolore è incolmabile, difficile anche solo da accettare figuriamoci di provare a spiegarlo ad altri. Ma è qui che l'autore dimostra la propria bravura: riesce ad esprimere con le parole quello che si prova immedesimandosi in un ragazzino, Oskar Schell, che deve affrontare la morte del papà, avvenuta l' 11 Settembre nell'attacco alle torri gemelle. La storia di fondo è abbastanza semplice: un anno dopo la perdita Oskar trova in un vaso una chiave con su scritto semplicemente ''Black''. Decide di scoprire a  chi appartiene e cosa apre andando a trovare tutti coloro che hanno quel cognome e che abitano nella propria città (New Yor, tanto per intenderci). E' impossibile non affezionarsi al ragazzino che ci racconta la propria avventura, ogni sabato per svariati mesi, nei quali conosce i più svariati tipi di persone, stringe varie amicizie e riesce anche a maturare, cominciando a vedere le cose da un nuovo punto di vista. Il romanzo mi è piaciuto molto, e trovo che Foer sia geniale nel trattare la caratterizzazione dei vari personaggi ( cosa che avevo già apprezzato in Ogni cosa è illuminata, http://theowlsdiary.blogspot.it/2014/07/ogni-cosa-e-illuminata.html ): infatti fin dalle prime pagine si scopre l'attaccamento e l'affetto che c'erano tra padre e figlio, soliti inventare giochi tra di loro, confidarsi tutto, e leggere storie prima della Buonanotte. Con queste premesse diventa ancora più triste leggere il fatto che Oskar non riesca a superare in alcun modo la morte di Thomas Schell, e la rabbia che prova verso chiunque ci sia riuscito o perlomeno ci stia provando come ad esempio la mamma, che nei discorsi del ragazzino viene sempre descritta con un misto di amore ed incomprensione, sentimenti che arriva a provare perfino il lettore tanto ci si immedesima. La narrazione è intervallata dalle lettere del nonno e della nonna paterni di Oskar. Il primo le indirizza al figlio, che non ha mai conosciuto (non svelerò altro, leggete il libro), mentre la seconda al suo adorato nipote, spiegando molte cose tenute all'oscuro per troppo tempo. Sullo sfondo di una New York caratterizzata da moltissimi incontri, il piccolo eroe della vicenda insegna a tutti una lezione fondamentale: la perdita può essere molto forte, ma chi abbiamo perso rimarrà per sempre incredibilmente vicino. 
Oltre alla bella storia il libro è curato nei minimi dettagli con moltissime immagini aggiuntive.

Nel 2011 è stato tratto un film bellissimo dal romanzo, in cui figurano Tom Hanks nei panni di Thomas Schell e Sandra Bullock come mamma di Oskar, con Stephen Daldry alla regia.

venerdì 25 luglio 2014

TRILOGIA DELLA CITTÀ' DI K.

Nonostante i tre libri che costituiscono l'opera della scrittrice ungherese Agota Kristof siano stati pubblicati in Francia un po' di tempo fa ( Il grande quaderno nel 1986 , La prova nel 1988 e La terza menzogna nel 1991) solo ora, a parte le eccezioni, iniziano ad avere un certo successo in Italia grazie all'attivo passaparola dei lettori. La causa di questo ritardo è evidente: le vicende vengono narrate con una crudezza assoluta, un lama di coltello capace di ferirci pagina dopo pagina inaspettatamente. Non sapevo cosa aspettarmi poiché non mi ero per nulla informata , si capirà dunque la mia sorpresa a primo impatto: stile che più semplice non si può, privo di qualsiasi abbellimento, senza fronzoli inutili, che espone la realtà (vera o apparente?) così com'è. La storia è raccontata da due gemelli, Lucas e Klaus, durante il periodo della guerra, portati dalla Mamma a casa di una fantomatica Nonna, che vive in piccolo paesino di frontiera, dove tutti la chiamano Strega poiché accusata di aver avvelenato il marito molti anni addietro. La vita non è facile, e la donna non fa nulla per renderla piacevole: se i due ''figli del diavolo'' (come li chiama lei) vogliono mangiare devono lavorare, sennò nulla. I ragazzini allora si isolano sempre di più inventando i modi più svariati per passare il tempo dopo il lavoro, arrivando a diventare quasi un'unica persona... . Fino a qui nulla di strano in effetti, ma durante la lettura appare evidente che non può essere tutto qui, i gemelli nascondono qualcosa, e la storia inizia ad apparire sempre più sfocata, con un susseguirsi di personaggi a volte molto grotteschi, capaci di far accapponare la pelle. Questa impressione viene confermata nel secondo romanzo, più confuso che mai, che a leggerlo non si sente minimamente il passare del tempo, perché la curiosità è corrosiva e spinge a voler sapere sempre di più. Di solito nei romanzi man mano che si va avanti con la lettura i pezzi del puzzle iniziano a combaciare, si cominciano a fare le prime supposizioni sul possibile finale, che spesso è del tutto scontato. Qui invece quello che si è costruito nel primo romanzo si sgretola come un castello di sabbia nel secondo per poi ricominciare a prendere forma nel terzo. Ma ormai non è più un castello, bensì un labirinto e fino alle ultime pagine è impossibile trovarne la via d'uscita. Alcuni hanno detto che è un romanzo che ''fa male'', che si pente di averlo iniziato ma che poi è impossibile staccarsene. Per quanto mi riguarda sono perfettamente d'accordo ed aggiungo che sono felice di averlo letto solo ora, perché ai tempi non sarei stata capace di aspettare per leggere il seguito.
Non consigliato ai deboli di cuore!!


giovedì 17 luglio 2014

ESPIAZIONE

Cosa c'entra una bambina arrogante e con la passione per la scrittura con due giovani il cui amore è solo agli  inzi? Apparentemente nulla se non che l'aspirante scrittrice, Briony Tallis, è la sorella di Cecilia, ragazza colta ed attraente, tornata da poco nella sua villa in campagna dopo gli studi a Cambridge, frequentata con Robbie, figlio della domestica di casa Tallis. La prima metà del libro parla degli eventi accaduti in una sola calda giornata del 1935 ai tre protagonisti, raccontata di volta in volta dal punto di vista di ciascuno. Tutto sembra iniziare per il meglio con il ritorno dell'amato fratello Leon, per il quale Briony ha scritto un breve spettacolo, e l'arrivo dei cugini dal nord a causa del divorzio dei genitori. Ma ben presto le cose cambiano: la bambina assiste dalla sua finestra ad un evento che non riesce a comprendere: Cecilia si sta spogliando davanti a Robbie, entra in una fontana, ne esce e va via arrabbiata; i due si allontanano e sulla scena rimane solo una pozza d'acqua che ben presto evapora.. Ma che vuol dire? Cosa si nasconde dietro tutto ciò? Briony non capisce e nella sua testa si delinea una storia di pura invenzione. In questo modo scatta un meccanismo inesorabile composto da incomprensioni e coincidenze, che cambierà per sempre il futuro dei personaggi. Durante la lettura ci si sente solo impotenti: noi sappiamo, noi capiamo.. Si vorrebbe entrare nel libro, sedersi accanto alla ragazzina e spiegarle tutto passo passo, affinché non commetta errori atroci. La seconda parte del libro è ambientata negli anni della Seconda Guerra Mondiale e vede come protagonista Robbie, diventato soldato, in seguito ad un periodo in carcere, causato proprio da quella lontana giornata d'estate. Sono i giorni di ritirata dell'esercito a Dunkerque. Uomini sfiniti che hanno visto cose inimmaginabili ed hanno un solo desiderio: quello di tornare a casa. La narrazione si chiude con l'ultimo giorno di ritirata e l'arrivo delle navi inglesi sulla costa francese per riportare tutti a casa. Nella terza ed ultima parte Briony ha ormai diciotto anni ed è alle prese con la propria espiazione, avendo capito la portata della propria azione. Diventata infermiera come sua sorella, si mette sulle sue tracce, intenzionata a chiedere scusa e a ritrattare la sua confessione se necessario anche davanti a un giudice. La guerra purtroppo cambia le persone, stravolge le cose e le vicende dei tre personaggi sono arrivate ad un punto dal quale è impossibile tornare indietro. Questo libro mi ha stravolta. Non è stata una lettura facile: a volte avevo solo voglia di chiudere ed andarmene, uscire, a causa degli argomenti troppo tristi. Ma spesso, anzi sempre, la mia reazione era opposta: rimanevo attaccata alle pagine, divorandole, desiderosa di sapere,sapere,sapere... . Ognuno dei tre protagonisti  ha una personalità ben delineata: Briony  molto probabilmente è colei che cresce maggiormente e si trasforma di più durante la narrazione. Inizialmente è quella che spesso viene definita una ''mocciosa'' , ragazzina desiderosa di approvazione per qualsiasi cosa faccia. Ordinata e precisa, quando vede qualcosa che non riesce a comprendere, crea una storia tutta sua, dove a causa di tante coincidenze, i pezzi combaciano perfettamente. Ma non si può rimanere giovani per sempre: arriva la guerra e con lei il duro ritorno alla realtà, una nuova consapevolezza, i sensi di colpa. Cecilia all'inizio della narrazione non è un personaggio che risulta simpatico. Appena uscita da Cambridge appare come la classica ragazza viziata e snob, sempre annoiata ad in attesa di ''qualcosa''. Man mano però scopriamo cosa si cela dietro il velo di arroganza: fragile ed in cerca di sentimenti veri. Si arriverà ad apprezzarla totalmente quando mostrerà la sua immensa devozione per Robbie, il figlio della domestica, colto ed intelligente, il migliore del suo corso a Cambridge. Lui è quello che cambia in negativo: le atrocità viste in guerra sono indelebili. Per chi non avesse voglia di leggere il libro o volesse prima farsene un'idea consiglio vivamente il film del 2007 diretto da Joe Wright, con Keira Knightley, James McAvoy e Saoirse Ronan. E' molto fedele, riprende interi passi del libro e provoca le stesse emozioni.
Locandina del film

Keira Kinghtley nei panni di Cecilia Tallis

Saoir Ronan nei panni di Briony Tallis

Robbie e Cecilia



mercoledì 16 luglio 2014

IL FU MATTIA PASCAL

Scritto nel 1904, Il fu Mattia Pascal è uno dei più famosi romanzi italiani, ideato da Pirandello. Ambientata in un paesino del nord, Miragno, la vicenda si svolge in tre anni circa e vede come protagonista Mattia, un uomo distinto da una caratteristica indimenticabile: un occhio strabico, che con uno spiccato senso dell'umorismo ci racconta ciò che gli è capitato, qualcosa di assurdo a pensarci, in uno stile semplice e vivace, ricco di riflessioni ed avventure significative. Dopo essere caduto in disgrazia a causa della madre, incapace di gestire le ricchezze lasciate dal laborioso marito, è costretto a sposare Romilda, ragazza triste ed antipatica, con una mamma insopportabile: una vera e propria megera, che odia l'eroe e non si fa scrupoli a farglielo intendere in ogni modo. Da qui in poi però la sorte inizierà ad essere una specie di co-protagonista, cambiando le carte in tavola di Mattia: dopo un viaggio a Nizza, per tutta una serie di circostante viene ritenuto morto, ma invece di smentire decide di approfittare della situazione per cambiare vita ed essere di nuovo ''libero''. Si reinventa, soprattutto a livello fisico, cambiando anche nome: Adriano Meis. Inizia a viaggiare ma ben presto si rende conto di come questa esistenza sia spossante e piena di inconvenienti. Libertà è una parola che può racchiudere in sé moltissimi significati, che troppo spesso vengono fraintesi: a volte ciò che pensiamo di desiderare non è adatto a noi, è proprio questo che accade al protagonista, che se ne rende conto tardi ma ancora in tempo per stabilizzare la propria esistenza. Ero convinta sarebbe stato un libro pesante, come molti di inizio '900, inoltre non avevo mai letto nulla di Pirandello e non sapevo proprio cosa aspettarmi. La lettura invece è stata gradevole e scorrevole, a tratti divertente: non mi capitava da molto di ritrovarmi a ridere da sola davanti a un libro. Il personaggio di Mattia è pieno di sfaccettature: inizialmente nonostante la sua età ormai adulta sembra un ragazzino, pensando solo al proprio divertimento, a ciò che è buono per lui, come ad esempio tradire un amico per il semplice gusto di farlo. Ma già durante il viaggio a Nizza comincia a subire un cambiamento: non si fida dello spagnolo, capisce che vorrebbe truffarlo, inoltre non butta nel gioco tutto quello che ha vinto, riuscendo in questo modo a mettere da parte una discreta somma di denaro. La crescita sembra subire una battuta di arresto quando decide di non tornare dalla moglie e dalla suocera a Miragno e di non pagare i suoi debiti, ma in realtà questa fuga servirà a completare la trasformazione: quando si trova a Roma e si innamora di Adriana è un uomo fatto e finito, che comprende di non voler più ferire altre persone e di come la sua vita, condotta in quel modo sia vana. Ho davvero apprezzato il suo lato comico: nonostante la natura non lo avesse premiato con una bellezza particolare lui se ne fa una ragione, riuscendo comunque a sedurre delle donne, e a provocare varie risate nei lettori. La narrazione è ricca anche di alcuni passi filosofici e riflessivi, molto lenti devo dire, ma che arricchiscono senza dubbio la storia. 

lunedì 14 luglio 2014

IL GIOVANE HOLDEN

Holden è un sedicenne di New York che riesce a stare simpatico fin dalle prima pagine con il suo modo di parlare strambo e con la storia che racconta. Pochi giorni prima del Natale del 1947 il ragazzo scopre di essere stato espulso dal celebre e costoso istituto di Pencey, nella Pennsylvania, a causa del suo carattere esuberante ed aperto. Come lui ci racconta non è la prima volta che ciò accade, per questo motivo è un po' in apprensione per quello che gli diranno i genitori, stufi ormai di spendere soldi inutilmente. Mentre aspetta che il preside li avverta ha una lite furiosa con il suo compagno di stanza a causa di una ragazza, quindi decide di tornare a New York con anticipo senza dirlo a nessuno e così inizia la sua avventura, durata circa tre giorni: dal sabato sera al lunedì mattina. Questa a grandi linee è la storia di uno degli adolescenti più famosi della letteratura. Ma leggerla in modo oggettivo è pressoché impossibile: ognuno infatti tende ad immedesimarsi e a provare emozioni diverse: c'è chi adora Holden perché rivede sé stesso e chi proprio non lo sopporta per il suo essere petulante ed un po' menefreghista. A me personalmente la sua arroganza fa tenerezza perché nasconde un mondo di insicurezza e di desiderio di essere accettato, cosa che capita a tutti gli adolescenti, anche quelli che apparentemente sembrano i più sicuri di sé. Holden li rappresenta tutti, solo in una grande città, che tenta di affrontare le avversità a testa alta ma che rimane indissolubilmente legato alla sorellina Phoebe. Una cosa è certa però: non è un romanzo che rimane indifferente. Ancor prima di leggerlo sapevo che il titolo è ''The Catcher in the Rye", ma non riuscivo a capire cosa avesse a che fare con la storia di un ragazzo poiché in italiano letteralmente vuol dire: ''Il prenditore nella segale''. Durante la lettura ho compreso tutto: Holden sente canticchiare da un bambino la canzone scozzese di Robert Burns '' Comin' through the rye'', ma leggermente sbagliata. Quando poi sua sorella gli chiederà cosa vorrebbe fare da grande lui risponde proprio ciò : the catcher in the rye. La prima edizione del libro fu pubblicata nel 1951 con la copertina completamente bianca, perché J.D.Salinger voleva che il suo libro venisse scelto solo per il contenuto. Jonathan Safran Foer ha detto che è il libro più letto tra i giovani americani. Un ottimo esempio.

J.D.SALINGER

martedì 1 luglio 2014

OGNI COSA E' ILLUMINATA

Jonathan Safran Foer era sconosciuto sul panorama della letteratura contemporanea quando nel 2002 pubblicò Ogni cosa è illuminata, un romanzo ispirato a una sua esperienza personale avvenuta nel 1999. Ebbe subito un grande successo tant'è  che nel 2005 ne è stato tratto un film dal regista emergente Liev Schreiber. La grande particolarità è che la trama si suddivide in due storie avvenute a parecchi anni di distanza l'una dall'altra, che corrono parallele per tutto il libro e pian piano svelano dettagli che le accomuna fino al loro intrecciarsi. Esse sono narrate da due personaggi molto diversi, che sono anche i protagonisti del romanzo: Alex, un giovane ucraino che sogna l'America, ed il suo coetaneo ebreo Jonathan che proviene proprio da lì. I ragazzi si incontrano poiché dopo aver ricevuto dalla nonna una foto raffigurante il nonno e la donna che lo ha salvato dai nazisti, Jonathan parte per il paese di origine, l'Ucraina appunto, intenzionato a conoscere quella misteriosa figura femminile. Per fare ciò si rivolge all'agenzia locale, diretta dal padre di Alex che incarica quest'ultimo di guidare il ragazzo nella sua ricerca, facendosi accompagnare dal Nonno e da Sammy Davis Junior Junior, un cane puzzolente e coccolone. Come indizi per il quartetto solo una foto e due nomi: Augustine, la famosa donna, e Trachimbrod, paesino dove i due vivevano. Alex con il suo inglese posticcio e malconcio racconta la storia del viaggio, a tratti davvero spassosa; Jonathan invece narra la storia del villaggio fin dal 1740. Il romanzo è articolato sotto forma di lettere in cui i due allegano passi della propria opera. Non manca nulla: amore, odio, rabbia. Sullo sfondo la seconda guerra mondiale e la tragedia ebraica. Tra ironia e tristezza la trama corre veloce, mostrando come la sorte a volte giochi davvero brutti scherzi e come alcuni fantasmi tornino sempre, nonostante si sia fatto l'impossibile per scacciarli. Ogni personalità è ben delineata, cosa che è stata molto utile secondo me anche per la sceneggiatura del film: ne ho visto qualche spezzone su youtube e gli attori hanno l'aspetto che avevo immaginato per i personaggi, tali e quali. Nonostante vi siano molti passi comici, il grande fulcro è la tragedia personale che ognuno vive, grande o piccola che sia. Dall'amore non corrisposto alla shoa, il libro mette in luce i vari modi dell'essere umano di reagire. Ogni cosa è illuminata, appunto.




locandina del film.


giovedì 26 giugno 2014

DIO DI ILLUSIONI

Donna Tartt pubblicò il suo primo romanzo nel 1992, iniziato ai tempi dell'università e che ebbe fin da subito un forte successo. Non è difficile capire il perché: nonostante la mole notevole si legge tutto d'un fiato grazie alla trama avvincente, e fa riflettere molto, anche una volta finito. Richard Papen, un ragazzo californiano avente poche possibilità economiche, riesce ad ottenere una borsa di studio per un college specializzato in materie umanistiche nel Vermont, dove rimane affascinato da un gruppo di ragazzi, gli unici a studiare greco antico, alquanto snob e considerati, per queste ragioni, un'élite. Il narratore è Richard stesso che ci spiega come li ritenesse irraggiungibili e come desiderasse conoscerli. Dopo vari tentativi riesce a convincere Julian ad ammetterlo al suo corso. Infatti è di questo professore la decisione di avere un massimo di cinque studenti ai quali insegnare le varie branche della cultura classica, in un ambiente intimo e in un modo che richiama molto L'attimo fuggente. Ed è così che Richard conosce personaggi unici e del tutto particolari, ognuno dei quali, per motivi diversi, mi è rimasto nel cuore: Bunny, allegro e pacioso, Francis dalla folta chioma rossa, i gemelli Charles e Camilla, ed infine Henry, studioso ed erudito, ritenuto glaciale nei rapporti con gli altri ma fulcro del gruppo. Tutti i ragazzi sono accomunati dal vestire in modo inconsueto, dall'essere completamente ignoranti riguardo il mondo moderno, dal fare uso di alchol e droga, e dall'essere (seppur in modo differente) molto ricchi. E' quest'ultimo fatto che spinge il nostro narratore a nascondere la sua grigia infanzia californiana e ad inventarne una caratterizzata dal lusso e dalle celebrità. Ben presto Richard entra a far parte del gruppo ma man mano che il tempo passa viene a scoprire fatti che cambieranno per sempre il suo modo di vedere le cose. A tratti la narrazione si fa intricata in quanto il protagonista insieme ai suoi compagni inizia ad assumere droghe ed alchol. Un misto fra thriller, giallo e romanzo di formazione, si tende molto ad essere influenzati dal punto di vista del narratore, e così passo dopo passo a cambiare anche idea con lui. I grandi temi del romanzo sono la bellezza e la malvagità. La prima chiamata ''crudele''(χαλεπὰ τὰ καλά)''non c'è nulla di sbagliato nell'amore per la bellezza, ma se non è sposata a qualcosa di profondo rimane sempre superficiale'''. La seconda presa dai personaggi sottogamba, nascosta in una fitta coltre di scuse ed accuse. Questo libro mi ha colpito molto per i temi esposti a volte in modo molto crudo. Inoltre mi ha stupito il ribaltamento di alcune cose: fatti importanti vengono trattati con noncuranza, fatti marginali assumono un significato fondamentale. I miei studi classici mi sono stati molto d'aiuto nella lettura, per i vari riferimenti fatti al mondo greco e latino. La Tartt ha deciso di pubblicare un libro ogni dieci anni. Aspettando il prossimo, ne ho ancora altri due da leggere. Se sono come questo, mi piaceranno sicuramente molto.

venerdì 20 giugno 2014

GLI INDIFFERENTI

Nel 1925 Moravia iniziò a scrivere il suo primo romanzo a soli 18 anni. Nonostante la giovane età il risultato è ritenuto ancor oggi uno dei capolavori della letteratura italiana moderna. Fra tutti i libri che ho letto questo è uno di quelli con il titolo più adatto: i personaggi protagonisti infatti sono indifferenti a ciò che li circonda, chiusi nel loro piccolo mondo interiore, incapaci di provare empatia per gli altri. Michele e Carla sono due ragazzi dell'alta-borghesia, annoiati ed infelici, soprattutto a causa di Mariagrazia, la madre, e Leo, il suo amante. Nella grande villa di famiglia, trascurata a causa dei problemi economici, le giornate scorrono tutte uguali, tra le frequenti scenate di gelosia della donna ed il ribrezzo provato dai figli, finché un giorno Leo inizia a mostrare il proprio interesse, tutt'altro che affettivo, per Carla, che pur non essendo innamorata, decide di cedersi all'uomo. Le vicende si susseguono in ambienti scuri ed malinconici, in linea con l'umore e la personalità dei personaggi, tra falsità ed una tentata empatia, in un'asfissiante mancanza di sentimenti puri. Questo romanzo mi ha colpito molto: non è stato né semplice né bello da leggere non tanto per lo stile quanto per l'argomento, infatti è difficile e quasi inverosimile vedere come una famiglia non sia legata dall'affetto, ma dalla sola routine; fa paura l'indifferenza per ciò che accade loro e per chi li circonda, i pensieri freddi e calcolatori, la  noncuranza nel danneggiare gli altri. Durante la lettura si prova il continuo desiderio che la situazione dei personaggi migliori, che essi nel loro cammino incontrino qualcuno capace di aprire loro gli occhi. Ma ciò non accade ed è forse il motivo per cui il libro rimane tanto impresso nella mente. Non è facile scriverne perché penso che a ciascuno provochi sensazioni diverse: alcuni sicuramente provano gli stessi sentimenti di Michele o di Carla, altri avendo una vita che li appaga magari non riescono a calarsi nei loro panni.

sabato 14 giugno 2014

I MALAVOGLIA

La vicenda che viene narrata è quella della famiglia Toscano, chiamata per antifrasi Malavoglia: i suoi componenti infatti sono tutti grandi lavoratori e tenuti in gran conto nel paesino di Aci Trezza. Il patriarca, Padron 'Ntoni, si occupa sia del figlio che dei nipotini. Purtroppo per la famiglia la buona sorte si allontana ed inizia un lento ma inesorabile declino che porta ad eventi che nemmeno i suoi componenti avrebbero mai immaginato. La fortuna comincia a cambiare con un commercio di lupini, tra l'altro fradici, che non ha un lieto fine ed implica oltre all'indebitarsi della famiglia anche la morta di Bastianazzo, figlio di Padron 'Ntoni. A causa delle difficoltà economiche la famiglia finisce sulla bocca di tutti. Aci Trezza infatti è un piccolo paesino, composto da vari personaggi, ognuno con le sue caratteristiche peculiari, ma tutti accomunati dal piacere dello ''spettegolare'': in modo magistrale vengono descritte le comari che chiacchierano sugli usci delle porte ed i mariti nella piazza principale.Verga dipinge un quadro eloquente della tipica piccola comunità siciliana dove tutti sanno tutto di tutti, legati alle forti tradizioni, religiose e non.Pubblicato intorno al 1881 il romanzo è il tipico esempio di verismo italiano che si rifà al naturalismo francese. Ciò che lo rende così reale è, oltre alla storia, il linguaggio: un misto di italiano e dialetto farcito da moltissimi proverbi che racchiudono e spiegano le varie situazioni. Inserito, insieme a Mastro Don Gesualdo, nel ciclo dei vinti  , i Malavoglia è un romanzo che racconta l'insoddisfazione del proprio status e il continuo tentativo di migliorarsi che però, come accade alla famiglia, viene infranto dalla sorte, presenza onnipresente. Dal momento che il passato è un buon insegnante, bisogna imparare da esso per evitare di ripetere gli stessi errori di chi ci ha preceduto, come faranno Mena ed Alessi, due dei nipoti di Padron 'Ntoni. Romanzo un po' difficile da seguire a causa dei nomi e soprannomi vari di tutti i personaggi. Lo stile però è semplice e facile da leggere. La storia in sé non è appassionante, anzi... L'impotenza davanti ai casi della vita mette quasi angoscia ma a livello sociale e linguistico è interessante in quanto ci fa immergere in realtà molto diverse dalle nostre ma comuni a quei tempi, e che in alcuni paesini sussistono tutt'ora. 

IL MAESTRO E MARGHERITA

Bulgakov iniziò a scrivere questo romanzo nel 1928 e nel corso degli anni lo riprese più volte per migliorarlo, a testimonianza del grande impegno e dell'importanza che aveva per lui. Nonostante ciò venne pubblicato per la prima volta solo nel 1966. Da subito ebbe un grande successo ed ancora oggi è ritenuto uno dei grandi classici della letteratura russa. La notorietà si deve sicuramente al tema originale. Nel romanzo infatti vengono narrate le vicende di Satana, che si presenta sotto le spoglie di un mago di magia nera di nome Woland, e del suo seguito composto da due demoni, Korovev ed Azazello, una strega, Hella, ed infine un grande gatto nero: Behemot. Il tutto è narrato nella laica Russia degli anni trenta, dove oltre al macabro gruppo incontriamo anche Margherita ed il suo amante, chiamato ''maestro'' poiché ha scritto un'opera riguardante la vera storia di Ponzio Pilato e Gesù Cristo, ma finito al manicomio per questo. La storia scorre molto velocemente e a tratti anche in modo divertente perché il seguito di Woland ne combina di tutti i colori, facendo scherzi talvolta molto di cattivo gusto e mandando molta gente al manicomio letteralmente, tra cui anche Ivan Nikolaevic, con il quale si apre il romanzo e che successivamente diventerà discepolo del maestro. In questo modo fin dall'inizio corrono parallele varie storie che finiranno per incastrarsi l'una con l'altra. Bulgakov nel suo romanzo mescola elementi reali ed immaginari, sentimenti nobili e scene grottesche, mettendo a nudo le tante vanità dell'animo umano e la possibile punizione che le aspetta. Ciò che mi ha colpito molto, e che forse è anche ciò che porta originalità nell'opera, è il modo in cui viene rappresentato Satana: per quanto riguarda l'aspetto fisico vi sono molte cose in comune con quello del Faust di Goethe, che viene anche citato nel romanzo; ma per quanto riguarda l'aspetto caratteriale è del tutto inaspettato: Woland si presenta come un personaggio pacato e disposto alla conversazione, curioso di conoscere l'animo umano 'moderno' ed infine anche dotato di spirito ''buono'' facendo finire nel migliore dei modi la storia tra il maestro e Margherita. Ho adorato questo libro dall'inizio alla fine. La storia è interessante e mi ha spinto a fare varie ricerche. Ho anche deciso di leggere al più presto il Faust per fare un confronto.

martedì 27 maggio 2014

LA COSCIENZA DI ZENO

Scritto all'indomani del dopoguerra e pubblicato nel 1923 da Italo Svevo, il romanzo è presentato sottoforma di diario dal protagonista Zeno Cosini, che << si crede un malato eccezionale di una malattia a percorso lungo>>. Per guarirne si sottopone dopo molto tempo alla psico-analisi, da lui ritenuta del tutto inutile. In questo modo ripercorre la sua vita, mettendo un accento particolare sulle sue relazioni più importanti: quella con suo padre, sua moglie e la famiglia di lei ed infine con il suo caro amico Guido Speier. Attraverso il racconto notiamo come Zeno molto spesso non si sia comportato bene nei confronti di queste persone e che per zittire i rimorsi e i sensi di colpa abbia raccontato anche a se stesso delle bugie. E' così che egli ingaggia una dura lotta con la sua coscienza, la quale sembra avere la peggio. La personalità del protagonista può essere definita abulica: vi è la mancanza di volontà nel prendere una decisione o eseguire un'azione, una specie di apatia dell'anima insomma, che diventa espressione di tutta una società caratterizzata da mancanza di valori o di qualsiasi fede. Ammetto che ho comprato il libro per il solo fatto che fosse "famoso", senza alcuna curiosità, ma addirittura pensando che mi avrebbe annoiato a morte, basandosi probabilmente solo sulla psicologia dei personaggi. Fin da subito invece si è rivelato dinamico e vivace, pieno di azione,di dialoghi, di scene sia comiche che tragiche, ma anche di lunghe riflessioni e di temi profondi. Nonostante sia stato scritto agli inizi del '900 sia la lingua che le tematiche risultano totalmente moderne.Non ho amato per nulla il protagonista Zeno, che nel parlare dei propri affetti risulta talvolta freddo e calcolatore, pronto a correre dietro ad ogni gonnella e a non prendersi alcuna responsabilità. Alla fine della letture di ogni "classico", comprendo il motivo per cui esso sia diventato tale!

venerdì 23 maggio 2014

STORIA DI UNA LADRA DI LIBRI

Mentre mi trovavo in ospedale una persona cara mi ha regalato questo romanzo di Markus Zusak. Ne avevo già sentito parlare molto, anche per via del film. Pensando di iniziare una lettura ''leggera'' ho lasciato stare gli altri libri che avevo portato con me. Fin dalle prima pagine però mi sono resa conto che non sarebbe stata la storia scontata che mi aspettavo: a narrare il tutto infatti vi è la Morte. Non la classica con cappuccio nero e falce, ma una dolce, che vede tramite i colori. E' lei a parlarci di Liesel Meminger, una giovane ragazza costretta a separarsi dalla mamma in seguito alla morte del padre e del fratellino. Siamo nella Germania nazista della Seconda Guerra Mondiale e le condizioni della popolazione sono tutt'altro che rosee. Giunta a Molching nella Himmelstrasse (Himmel= Paradiso) Liesel conosce la sua famiglia adottiva : gli Hubermann, con Rosa che sembra un piccolo armadio e Hans che ha gli occhi d'argento.Qui la ragazzina inizia una nuova vita legata ad un libro rubato durante il funerale di suo fratello. Unico problema: Liesel non sa leggere! E' proprio ciò che la lega ad Hans Hubermann, deciso a farle da maestro. A scuola conosce Rudy, un ragazzino dinoccolato e dai ''capelli gialli'', che presto diventerà il suo migliore amico, legati dalla passione per il calcio e da quella per il rubare. Così si svolge la vita di Liesel nella Himmelstrasse, fino all'arrivo di Max Vanderburg, un ebreo in cerca di riparo che viene ospitato segretamente nella cantina degli Hubermann. Una storia di amore incondizionato ed amicia, gentilezza ed empatia, ma anche odio e disprezzo. Le parole hanno un'importanza fondamentale: esse sono capaci di creare ma anche di distruggere. Ed è proprio sul rispetto di esse che si basa l'opera di Liesel, che da analfabeta diventerà una scrittrice. Il finale poi non risparmia una buona dose di lacrime.. Sullo sfondo il fuhrer e le città bombardate, le marce degli ebrei fino a Dachau e le camere a gas nei campi di concentramento. 

sabato 17 maggio 2014

LOLITA

Nel 1955 a Parigi venne pubblicato questo romanzo dal famoso autore russo Vladimir Nabokov, già famoso nel paese natio. Solo 3 anni dopo, nel '58, venne pubblicato anche in America, dove suscitò grande scalpore a causa del contenuto licenzioso. Ma come ci ha tenuto a precisare l'autore stesso Lolita non deve essere letto come libro pornografico, o con quella aspettativa. In effetti i riferimenti espliciti a quell'argomento specifico sono pochissimi. Tutto si concentra sulla psicologia del personaggio, che viene approfondita oltre i limiti del ''decente''. Un professore francese di mezza età, con un'inaudita passione per le cosiddette "ninfette" (bambine tra i 9 e i 12 anni con una nascosto sex appeal, secondo lui), in seguito alla morte di una parente e in vista di una cospicua eredità decide di trasferirsi in America, anche per lasciarsi alle spalle un passato non proprio lindo. Nel nuovo continente conoscerà Lolita, emblema della "ninfetta", ragazzina sfacciata e maliziosa di soli 12 anni, che gli farà perdere la ragione. In un lungo viaggio che farà tappa in varie cittadine americane, attraverso gli occhi di Humbert Humbert, il professore, possiamo osservare i prototipi di cittadini americani: la ragazzina fissata con le celebrities e i fumetti, la mamma single e pettegola che si innamora del forestiero, i vicini ficcanaso e gli amici di facciata. Il fatto che il romanzo sia scritto in prima persona ci fa calare totalmente nel punto di vista del protagonista che è duplice: infatti l'amore, la dolcezza e la totale devozione per Lolita vengono facilmente sostituiti da un atteggiamento freddo, cinico, distaccato nei confronti degli altri personaggi e delle varie situazioni. Un libro che avevo comprato solo per il suo "essere celebre", senza convinzione. Ultimamente sto avendo una "riscoperta" dei classici che mi ha fatto sorgere spontanea la domanda possibile che non abbia mai letto Lolita? Sono soddisfatta di averlo aggiunto alla lista delle mie letture. Un romanzo introspettivo, che ti cala nei più profondi recessi della mente umana, e ti mette di fronte a storie difficilmente immaginabili altrimenti. 
  

martedì 6 maggio 2014

DELL'AMORE E DI ALTRI DEMONI

Il 26 Ottobre 1949 Marquez fu incaricato di prender parte, come giornalista, al rinvenimento di alcune tombe nel convento delle Clarisse a Cartagena. Da una di esse emerse una lunghissima chioma color del bronzo. È da questa esperienza che nasce la storia di Sierva Maria, una marchesina di 12 anni, dallo spirito libero e cresciuta fin da piccola con i suoi schiavi negri. Un giorno mentre è a passaggio nel mercato della città viene morsa da un cane cenerognolo con una stella sulla fronte, colpito dalla rabbia. È da questo momento in poi che la storia si sviluppa in un crescendo di fraintendimenti, fino al momento in cui la ragazzina pur non essendosi ammalata viene reputata indemoniata. La notizia giunta al vescovo di Cartagena fa si che Sierva Maria sia rinchiusa in un convento e sottoposta a degli esorcismi e alle cure di Cayetano Delaura, braccio destro del vescovo. Il prete, conoscendo via via la ragazza, arriverà a capire come il peggiore dei demoni sia l'amore,troppo tardi però. Nel tipico stile di Marquez, veloce e fluido, la storia scorre sotto gli occhi del lettore tutta d'un fiato. La trama è inserita in un'atmosfera surreale e quasi senza tempo, con tematiche che possono essere ritenute molto attuali. La storia è senz'altro appassionante, ma io avrei desiderato una maggiore estensione, perché arrivata alla fine mi è rimasto un po ' di amaro in bocca, come se mancasse qualcosa. Ugualmente ai romanzi precedenti l'autore fa sfoggio di una grande erudizione per quanto riguarda la cultura del sud America e delle varie popolazioni che la compongono.  Se avete voglia di leggere di un amore travolgente ma combattuto , questo è il libro che fa per voi. 

domenica 4 maggio 2014

SE UNA NOTTE DI INVERNO UN VIAGGIATORE


Nel 1979 Calvino pubblicò con Einaudi questo libro, che egli stesso definì "romanzo sul piacere di leggere romanzi". Protagonista è un ipotetico Lettore che per dieci volte inizia a leggere un libro, ma per un motivo o per l'altro è costretto ad interrompersi a poche pagine dall'inizio. Si sviluppa in questo modo la storia di una persona nella quale chiunque ami leggere può immedesimarsi: infatti oltre alla trama, che comprende oltre al Lettore anche Ludmilla, la Lettrice, l'incipit di ogni romanzo appassiona in un modo tale che quando termina ci si rimane male, anche noi vorremmo sapere come va a finire. Un viaggio anche a livello 'spirituale', che porta a riflettere sul proprio rapporto con i libri. Pensandoci mi sono resa conto che (scontato da dire, lo so) sono dei veri e propri amici. La casa  sarebbe vuota e triste senza di essi. A volte mi ritrovo a fissare con adorazione la mia libreria. Ognuno mi ricorda un momento ben preciso, bello o brutto che sia, un pensiero, un odore,un rumore. Il mio rapporto con loro è esclusivo-barra-possessivo. Mi capita molto spesso di leggere anche a pranzo e a cena, quindi alcuni mostrano delle "medaglie" non poco evidenti! Ma per carità se è qualcun altro a sgualcirli.. Divento una iena! Si prova una certa emozione a leggere questo libro: capisci che "non sei l'unico", che c'è chi, come te, prova un amore sconfinato nei loro confronti, e non paura o ,peggio, indifferenza. Proprio all'uscita del romanzo il critico Angelo Guglielmi ne scrisse a riguardo un duro articolo, al quale, però, Calvino rispose con arguzia ed ironia, smontando le critiche punto per punto. Grande autore, sotto tutti i punti di vista: riesce ad essere camaleontico, eclettico, ma profondo al tempo stesso. Un'opera che rapisce,insomma. Non manca nulla,persino il lieto fine, che è tutto tranne che scontato. 



giovedì 1 maggio 2014

CENT'ANNI DI SOLITUDINE

Scrivere una recensione su un romanzo tanto importante devo ammettere che non è facile. Sento il peso della grandezza e la paura di non essere all'altezza. A meno di un mese dalla morte di Gabriel Garcìa Marquez ho deciso di leggere il romanzo che lo ha lanciato nella costellazione degli scrittori più famosi del nostro secolo e che gli valse il nobel per la Letteratura nel 1982. La storia si svolge nell'arco di molti anni nel paese di Macondo, dove si narrano le vicissitudini della famiglia Buendìa di generazione in generazione. Fin da subito si possono notare diverse cornici temporali ed una concezione circolare del tempo. La caratteristica principale di tutti i personaggi è la solitudine, come si intuisce dal titolo. Ognuno è chiuso nel proprio mondo, ha le proprie fissazioni e molto spesso non è nemmeno capace di provare affetto per i suoi stessi familiari. Marquez caratterizza il proprio romanzo con il solito realismo magico: un paese dell'america meridionale, sommerso da un'aura irreale, e dove molte vicende possono solo che essere frutto dell'immaginazione dell'autore: come il ragazzo sempre inseguito da farfalle gialle o l'ascesa al cielo di Remedios ''la bella''. In tutto ciò vi è anche un grande richiamo alla storia colombiana: la guerra dei Mille giorni (1899-1901), l'arrivo dei Nord Americani, delle società bananiere e di varie tecnologie come il treno. L'interpretazione degli accadimenti è critica: prima di tutte queste innovazioni Macondo (=Colombia) era un paese felice e fertile. Scritto nel tipico stile di Marquez il libro è semplice, veloce e scorrevole. Il significato profondo dell'opera si comprenderà solo alla fine, e sarà una scoperta costata cent'anni di solitudine. Il rapporto tra realtà e finzione diviene sempre più intrecciato,fino a raggiungere il culmine con la nascita di un bambino con la coda di maiale e alla denuncia dell'incesto, causa della distruzione della stirpe. La lettura è stata piacevole e per nulla difficoltosa, ma il significato profondo,i vari richiami storici e il livelli temporali hanno richiesto una certa riflessione. Per quanto riguarda la trama ho preferito L'amore ai tempi del colera, ma io sono di parte essendo una romanticona! Dopo alcune ricerche su internet ho scoperto che ai suoi tempi Marquez ebbe un successo travolgente ma che fu stroncato da personaggi come Pasolini che lo definì un semplice ''scenografo o costumista''. In effetti il romanzo è molto scenico, ma senza questa caratteristica, secondo me, la trama sarebbe risultata vuota o semplicistica. 
"..le stirpi condannate a cent'anni di solitudine non avevano 
una seconda opportunità sulla terra."

domenica 27 aprile 2014

IL DESERTO DEI TARTARI

Il deserto dei Tartari è un romanzo ambiguo. Facile e scorrevole ad una prima lettura, anche banale a tratti. Ma con l'avanzare delle pagine si scoprono nuove sfumature e si comprende che nulla è lasciato al caso. Giovanni Drogo, un giovane ufficiale, viene incaricato di recarsi alla Fortezza Bastiani e lì di prestare servizio. Nonostante egli, inizialmente, faccia di tutto per andar via, vi è qualcosa che lo tiene legato al luogo e che inevitabilmente lo fa sempre tornare. Drogo sa cos'è: il desolato deserto dei Tartari che si apre verso settentrione e che giorno dopo giorno infonde nel ragazzo la speranza in qualcosa di imprecisabile. E' questa attesa, questa convinzione che "qualcosa deve pur accadere" che lo spinge a rimanere, mentre gli anni passano inesorabilmente. La sua vita non ha preso la piega che lui aveva immaginato. Intorno a lui la gente cambia, cresce, accetta il proprio destino. Ma non sempre ciò che è un bene per gli altri può esserlo per noi. Adattarsi a quella che è la "norma" infonde solo una grande amarezza. Che fare dunque? Passare una vita ad aspettare, ad avere speranze futili (secondo gli altri)? Oppure seguire i consigli di chi ci circonda, anche se non si sposano con la nostra volontà? Sono queste le domande che Dino Buzzati ci spinge a porci. La fine del libro lascia molta amarezza in bocca. D'altronde la vita stessa è così. Tanto vale viverla come più ci piace. L'autore raccontò in un'intervista che l'idea del romanzo gli nacque " dalla monotona routine redazionale notturna che facevo a quei tempi: molto spesso l'idea che quel tran-tran dovesse andare avanti senza termine e che mi avrebbe consumato così inevitabilmente la vita [...]". Sentimento comune a molti uomini questo: la paura che la nostra vita ci passi sotto gli occhi senza uno scopo preciso, senza essere vissuta appieno. Nessuno sa meglio di noi quelli che sono i nostri sogni.

venerdì 25 aprile 2014

L'ULTIMO GIORNO DI UN CONDANNATO A MORTE

L'epoca in cui vive Victor Hugo è caratterizzata da profondi cambiamenti a livello storico e sociale, ma soprattutto culturale. È il periodo infatti del romanticismo, dell' "io" al centro di tutto, dei sentimenti messi a nudo, ma innanzitutto di una grande voglia di libertà. È su questo sfondo che l'autore ci racconta la storia di un uomo di cui non sappiamo nulla: né il nome, né la condizione sociale, né il motivo della condanna. Fin dalla prima pagina però comunica il terrore per ciò che lo aspetta. Il lettore inevitabilmente si immedesima,anch'esso prova angoscia e paura , smarrimento,  mentre l'ora fatidica si avvicina. Mi è rimasto impresso il fatto che l'attesa sia di per sé una tortura. Non è tanto la morte,veloce con la ghigliottina, ma ciò che vi è prima. Il tempo sembra dilatarsi oltre misura ed insieme correre all'impazzata. Il cuore che batte, il sudore freddo, lo stomaco chiuso. Ciò che opprime è il senso di impotenza: sai ciò che ti aspetta,  ma non puoi fare nulla per cambiare le cose. Hugo non ha specificato volontariamente le generalità del protagonista. Sia che egli sia innocente, sia che egli sia colpevole,  il momento è drammatico. Prima dell'opera vera e propria egli ha posto una breve commedia, ambientata in un salotto parigino, nel quale si parla proprio del libro, pubblicato inizialmente in via anonima. Qui gli alti borghesi assumono un atteggiamento indignato, affermando che è oltraggioso scrivere dal punto di vista di un condannato. Eppure l'intento dello scrittore era proprio questo: creare dibattiti sull'argomento. Senza indignazione non c'è rivoluzione.
Al posto di quell'uomo potrebbe esserci chiunque: un ladro di infima categoria così come un nobile. È l'azione che è sbagliata. L'edizione Newton Compton Editori è davvero ben curata e l'introduzione di Arnaldo Colasanti illuminante!

martedì 22 aprile 2014

NOTRE-DAME DE PARIS

Nel 1831 a soli 29 anni Victor Hugo divenne famoso con questo romanzo, che riuscì ad oltrepassare senza difficoltà le censure dell'epoca e a porsi come pietra miliare della letteratura francese. Uno di quei libri insomma, che almeno una volta nella vita va letto. 
6 Gennaio 1482. Parigi. Non solo giorno dell'epifania, ma anche festa dei Matti per la Corte dei Miracoli,in cui tutto è lecito, perfino eleggere un proprio papa. Per le strade della città la bella Esmeralda incanta gli spettatori con danze e con canti , movimenti sinuosi e sorrisi angelici. Al suo fianco la simpatica capretta Djali, la quale, ormai addestrata, al semplice movimento di un tamburello meraviglia con vari giochetti. L'arcidiacono di Notre-Dame, Claude Frollo, uomo serio e da sempre dedito agli studi, non riesce a contrastare la passione travolgente che lo incatena alla fanciulla, fino ad arrivare ad un punto di non ritorno. Sullo sfondo della vicenda vi è Quasimodo, il campanaro zoppo e gobbo , divenuto sordo a causa del proprio mestiere. Egli vive in una solitudine completa dovuta al suo aspetto esteriore e alla crudeltà del popolo, che non esita ad odiarlo per questo fatto. Unico contatto umano è quello con Frollo, al quale Quasimodo è sottomesso in segno di gratitudine, poiché era stato lui a salvarlo quando era solo un bambino. Ultimo personaggio principale della vicenda è il capitano Phoebus, bello e statuario, ma cinico,senza scrupoli, amante del vizio e del quale si innamorerà Esmeralda. Con grande scaltrezza Hugo fa susseguire ed intrecciare le vicende, che sembrano sottoporsi alla volontà del fato, in un vortice sempre più complicato di intrighi ed incomprensioni, fino all'apice, che corrisponde con l'inevitabile tragedia. La maestosa cattedrale di Notre-Dame è anch'essa protagonista e sotto i suoi occhi si svolge l'intera storia. Mescolate all'azione vi sono molte sequenze descrittive, o addirittura interi capitoli, come ad esempio 'Parigi a volo di uccello', nel quale l'autore descrive minuziosamente la città ed i quartieri che la compongono. Un po' più lenti e difficili, è da dire, ma comunque una bella finestra per comprendere meglio le dinamiche del romanzo. Staccare il naso dal libro è quasi impossibile. Storia. Magia. Tragedia. Respiro sospeso fino all'ultima pagina. Commozione inevitabile. Questo per me è stato il primo romanzo di Victor Hugo. Mi sono interessata all'autore all'uscita del film 'I miserabili' (2012), ma non ho avuto occasione di leggerlo fino alla settimana scorsa quando in libreria tutti gli altri libri sono come scomparsi ed ho capito che era questo il libro da prendere! Attualmente sto leggendo 'L'ultimo giorno di un condannato a morte'. A presto la recensione . :)

                  Illustrazione di Quasimodo per Notre-Dame de Paris, da Alfred Barbou.

''Trovarono tra tutte quelle orribili carcasse due scheletri, uno dei quali abbracciava singolarmente l'altro. Uno di quegli scheletri, che era quello di una donna, era ancora coperto di qualche lembo di una veste di una stoffa che era stata bianca, ed era visibile attorno al suo collo una collana di adrézarach con un sacchettino di seta, ornato da perline verdi, che era aperto e vuoto. Quegli oggetti erano di così poco valore che di certo il boia non li aveva voluti. L'altro, abbracciava stretto questo, era lo scheletro di un uomo. Notarono che aveva la colonna vertebrale deviata, la testa incassata tra le scapole e una gamba più corta dell'altra. D'altronde non aveva alcuna vertebra cervicale rotta ed era evidente che non fosse stato impiccato. L'uomo al quale era appartenuto era quindi giunto lì, e lì era morto. Quando fecero per staccarlo dallo scheletro che abbracciava, cadde in polvere''.

IL CIMITERO DI PRAGA

24 Marzo 1897. Il capitano Simonino Simonini si sveglia nel suo appartamento in impasse Maubert. E' confuso e non ricorda quasi nulla della notte precedente.Per farsi tornare la memoria decide di mettere i propri pensieri su carta, come gli ha consigliato uno 'studentello' di medicina, un certo ' Froide'. In questo modo entriamo nel passato di colui che scopriamo essere un falsario, che è stato a fianco di Garibaldi in Sicilia, ha lavorato per i servizi segreti di Francia e Russia e non ha quella che si può definire una 'coscienza pulita'. Nel ripercorrere i ricordi dell'uomo veniamo a conoscenza di intrighi che hanno sconvolto il succedersi degli eventi fino alle due Guerre Mondiali. Vi sono ricordi, però, che Simonini aveva tentato di rimuovere e che tornano a galla solo grazie all'intervento del misterioso abate Dalla Piccola. Unica certezza? Il cimitero di Praga. Umberto Eco in questo romanzo utilizza l'espediente del 'manoscritto ritrovato' (in questo caso un diario), preso in prestito da Cervantes e Manzoni. Fin dalle prime pagine il romanzo scorre velocemente, e l'autore mostra tutta la sua bravura districandosi tra avvenimenti realmente avvenuti ed altri di pura fantasia. Un bel salto nella storia di fine '800 ed inizio '900, dove non manca nulla : scandali, complotti, messe nere. Talvolta l'autore si sofferma a descrivere dettagliatamente le pietanze provocando un certo languorino nei suoi lettori.. . Da alcuni è stato definito un 'fritto misto' in quanto si intrecciano storie di massoneria, carboneria, gesuiti ed ebrei. Già in precedenza Eco era stato accusato di 'eccessiva erudizione' nei propri romanzi, come 'Il nome della Rosa' (Bompiani, 1980) o ' Il pendolo di Foucault' (Bompiani, 1988). Libri definiti 'per pochi' insomma. D'altronde per un personaggio che può vantare 39 lauree honoris causa è impossibile non fare riferimento ai propri studi. E non dimentichiamo che Umberto Eco, ancor prima che romanziere, è un saggista. Fa sempre bene cimentarsi in qualcosa che sembra inizialmente ostico. Provare per credere. :)